Perché la religione è “naturale” – terza parte –

luglio 7, 2011

Per l’antropologo francesce Pascal Boyer, Professore presso il dipartimento di Psicologia e antropologia della Washington University presso St. Louis. le religione è un “prodotto” dell’evoluzione del nostro cervello.

Qui di seguito riportiamo la terza parte dell’articolo

Perché la religione è “naturale”?

di Pascal Boyer

(Qui potrete trovare la prima parteseconda parte)

Una gamma limitata di concetti

Le persone conoscono i propri concetti religiosi?Sembrerebbe una domanda assurda, ma in realtà è una questione importante nella psicologia della religione: la vera risposta risulterebbe probabilmente negativa.

Nella maggior parte dell’attività mentale, soltanto una piccola parte di ciò che penetra nel nostro cervello è accessibile a un controllo consapevole. Ad esempio, produciamo continuamente frasi nella nostra madrelingua con una pronuncia impeccabile, spesso senza avere un’idea di come ciò avvenga. Oppure percepiamo il mondo attorno a noi come costituito da oggetti tridimensionali, ma di certo non siamo consapevoli delle modalità in cui la nostra corteccia visiva trasformi le doppie immagini della retina in tale ricca espressione di oggetti solidi. Lo stesso vale per tutti i concetti e le norme che ci appartengono: abbiamo qualche vaga idea di cosa essi siano, ma di certo non abbiamo accesso completo alle modalità per cui la nostra mente li crea e sostiene. La maggior parte delle zone cerebrali che sostengono concetti religiosi non è accessibile consapevolmente. Le proprie credenze consciamente accessibili rappresentano solamente un frammento del processo mentale. Infatti, test sperimentali dimostrano come concetti religiosi ritenuti come propri, spesso divergano da quello che le persone pensavano di credere. Questo spiega perché teologie, dogmi ed erudite interpretazioni della religione non possano venire intese come affidabili esposizioni né dei contenuti né delle cause delle credenze della gente. Per esempio lo psicologo Justin Barrett dimostrò che il concetto cristiano di Dio era molto più complesso di quanto assumessero i credenti stessi. La maggior parte dei cristiani descriverebbe la propria nozione di Dio in termini trascendentali e con straordinarie caratteristiche fisiche e mentali. Dio è ovunque, è onnipresente. Tuttavia, lavori sperimentali hanno dimostrato che quando non stanno riflettendo sulla propria fede, queste stesse persone usano un altro concetto di Dio, ovvero lo identificano come un rappresentante umano con un particolare punto di vista, una propria particolare posizione e un’attenzione discontinua. Dio considererebbe prima un problema e poi l’altro.

Ora, questa concezione è per lo più taciuta. Guida i pensieri della gente attraverso particolari eventi, attraverso episodi di interazione con Dio, ma non è così che essa intende il proprio credo. In altri termini, la gente non crede in ciò che crede di credere*.

Un attento esame di queste tacite concezioni rivela che le nozioni dei meccanismi religiosi sono molto simili in tutto il mondo, nonostante le grandi differenze culturali. Esiste un piccolo repertorio di possibili caratteri soprannaturali, molti dei quali si ritrovano in racconti popolari e altri minori domini culturali, sebbene alcuni di essi appartengano alle divinità importanti, agli spiriti o agli antenati della “religione”. Molti di questi rappresentanti sono espressamente definiti in possesso di proprietà fisiche o biologiche non palpabili, cosa che viola la generale aspettativa nei confronti dei rappresentanti stessi. Essi sono talora invisibili, o preveggenti, o immortali. Il modo in cui le persone rappresentano tali agenti attiva l’enorme e inaccessibile meccanismo della “teoria della mente” e altri processi mentali che ci dotano di una particolare rappresentazione degli agenti, delle loro intenzioni e delle loro credenze. Tutto questo non è accessibile a un’ispezione cosciente e richiede una trasmissione non sociale. D’altro canto, ciò che viene socialmente trasmesso sono le figure sovrumane: costui è onnisciente, tal altro attraversa i muri, un altro ancora è nato da una vergine, ecc.

Più genericamente, si osserva che la maggioranza dei concetti sovrannaturali e religiosi appartiene a una breve lista di possibili profili che hanno una struttura comune. Tutti questi concetti sono caratterizzati da asserzioni molto generiche tratte da categorie molto generali quali “persona”, “essere vivente” o “manufatto”. Uno spirito è una particolare specie di persona, una bacchetta magica, uno speciale manufatto, un albero parlante, una pianta speciale. Tali nozioni combinano (a) specifiche caratteristiche che violano alcune tipiche aspettative del dominio mentale con (b) aspettative ritenute vere per default dalla mente. Per esempio, il familiare concetto di fantasma combina (a) un’informazione trasmessa socialmente di una persona impalpabile (disincarnata, che attraversa i muri, ecc.) con (b) spontanee deduzioni prodotte dal concetto generale di persona (il fantasma capta quello che succede, richiama quello che la persona ha percepito, crea delle credenze sulla base di tali percezioni, e dunque crea dei concetti sulla base di tali credenze). Queste associazioni tra violazione esplicita e tacite asserzioni sono culturalmente molto diffuse e potrebbero costituire l’optimum per la memoria: associazioni di questo tipo vengono infatti richiamate più facilmente dalla memoria rispetto ad associazioni più banali, ma anche più facilmente rispetto ad associazioni stravaganti che non includono però violazioni del dominio mentale. Il risultato è la noncuranza di esposizione di un particolare tipo di credenze soprannaturali, e ciò è stato replicato in differenti culture in Africa e in Asia.

Per riassumere, possiamo spiegare la sensibilità umana nei confronti di particolari concetti sovrannaturali come prodotto dell’operato delle menti umane in contesti ordinari, non religiosi. Poiché le asserzioni su categorie fondamentali quali persone, manufatti, animali, ecc. sono così rigide, violazioni di queste asserzioni creano concetti salienti e facilmente memorizzabili.

* Barrett, J.L., e F.C. Keil. 1996. Conceptualizing a nonnatural entity: Anthropomorphism in God concepts. Cognitive Psychology 31(3): 219-247

(continua)

(Qui potrete trovare la prima parteseconda parte)

 
Traduzione in italiano di Simona Speich (UAAR.it)
 
FONTE:
www.csicop.org (A Committee for Skeptical Inquiry )
 

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